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domenica 29 novembre 2020 | ore 21:00online

Le pandemie ai tempi degli antichi. Tutta colpa delle divinità?

Da vendette divine a malattie oggettive

lectio di Eva Cantarella, storica e giurista

Dall’Iliade all’Edipo re di Sofocle, le pandemie rappresentate nei testi antichi sono presentate come forma della vendetta divina verso la tracotanza degli uomini, verso il peccato della loro finitezza mortale. La tragedia di Edipo sancisce la responsabilità oggettiva umana, punita dagli dei attraverso la malattia mortale.
La svolta interpretativa rispetto a questa visione arcaica e pregiudiziale si ha con Tucidide che racconta con approccio scientifico la peste storicamente avvenuta in Atene tra il 430 e il 429 A.C. e che causò la morte di Pericle, riferendone l’eccezionalità e l’oggettiva pericolosità. Per la prima volta la peste è considerata una malattia oggettiva, slegata da una causa divina e descritta nei suoi sintomi impressionanti.

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Studenti e studentesse del Liceo Classico Francesco Vivona di Roma hanno ascoltato la lezione di Eva Cantarella, queste le loro considerazioni.

#1 LA CENTRALITÀ DELL’INDIVIDUO NEL DIRITTO PENALE
di Lorenzo Fedeli, 3^ i

L’intervento di Eva Cantarella al Festival del Classico di domenica 29 novembre, nell’affrontare il tema della pandemia nell’antica Grecia, offre interessanti spunti di riflessione di tipo etico e soprattutto giuridico. La stessa Cantarella, del resto, introduce la sua relazione individuando proprio nella Grecia antica l’origine dei concetti etici e giuridici della modernità.
A tale proposito di straordinaria attualità è il rapporto fra responsabilità oggettiva e responsabilità soggettiva. Le vicende, narrate nell’Iliade, della pestilenza che si abbatte sul campo degli Achei durante la guerra di Troia e il dramma di Edipo a Tebe, nell’opera di Sofocle, riflettono la prima delle due forme di responsabilità: la punizione colpisce il suo destinatario o chi è nella sua cerchia per il “solo” fatto di aver compiuto un fatto riprovevole, condannato dalla legge degli dei o degli uomini.
È il disprezzo di Agamennone verso Crise, sacerdote di Apollo e padre di Criseide ormai schiava di guerra, a scatenare l’ira del dio e quindi la pestilenza fra gli Achei. Edipo, a sua volta, è colpevole e costretto all’esilio, avendo ucciso il padre Laio e essendosi unito alla madre Giocasta, pur non conoscendo l’identità dell’uno e dell’altra. In questi due brani di Omero e di Sofocle emerge lo schema della responsabilità oggettiva per cui un determinato fatto, ritenuto illecito o comunque moralmente non accettabile, fa sorgere immediatamente conseguenze sul proprio autore. È evidente come la personalità del soggetto che agisce, nel nostro caso soprattutto Edipo, passa in secondo piano. Non rilevano la consapevolezza e la volontà di gesti condannati dalla società. Conta
solo il dato oggettivo del fatto e della violazione di norme etiche o giuridiche. Secondo il diritto contemporaneo, questa forma di responsabilità oggettiva evidenzia l’antigiuridicità del comportamento, la sua contrarietà alla norma, ma non è sufficiente a fondare la colpevolezza dell’autore del fatto.
Differente è il piano della responsabilità soggettiva che Eva Cantarella recupera nella descrizione di alcuni brani dell’Edipo a Colono. Quando Edipo arriva a Colono, viene accolto malamente dai suoi abitanti a causa del proprio passato. È costretto quindi a difendersi, a dichiararsi non colpevole in quanto non sapeva che Laio fosse suo padre e Giocasta sua madre. Edipo grida la propria innocenza. Sono mancati nel proprio agire verso Laio e Giocasta i due presupposti fondamentali della colpevolezza: la coscienza e la volontà del comportamento delittuoso. Coscienza e volontà, dati squisitamente soggettivi, si aggiungono, perciò, al dato oggettivo della violazione della norma. Solo l’indissolubile unità di questi elementi di natura soggettiva e oggettiva configura la responsabilità penale e autorizza la collettività a considerare colpevole e quindi punibile l’autore di comportamenti vietati.
Lo spostamento dalla responsabilità oggettiva a quella soggettiva, che Eva Cantarella riconduce al dibattito in corso nell’Atene del V secolo avanti Cristo, è alla base del diritto penale contemporaneo. Nel nostro Paese, ad esempio, si può fare riferimento all’articolo 27 della Costituzione di cui riporto il primo comma.
La responsabilità penale è personale.
Ciò significa che non è sufficiente aver commesso il fatto, ma sono necessari anche i requisiti soggettivi della coscienza e della volontà per essere veramente colpevoli: questi requisiti mancano a Edipo nella seconda tragedia citata da Eva Cantarella. Mi piace pensare che la Corte costituzionale nel 1988 abbia pensato proprio a Edipo quando ha dichiarato illegittimo l’articolo 5 del codice penale che cito.
Nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale.
Per secoli la non conoscenza della legge penale non è stata mai considerata scusabile nei tribunali. Aver commesso un fatto considerato reato era sufficiente per emettere una condanna. Nel 1988 la Corte costituzionale, nella sentenza n. 364, ricorda che possono esserci obblighi o divieti, magari su campi molto specifici, che l’individuo può legittimamente non conoscere. In questo caso un comportamento che violi la legge non può essere punito.
Nel lungo arco di secoli che va dall’Edipo a Colono ai giorni nostri, vedo l’affermarsi di una visione antropocentrica, che fa dell’individuo un soggetto dotato di consapevolezza e di volontà titolare di diritti e di doveri. Non a caso l’Atene del quinto secolo avanti Cristo mette al centro della riflessione filosofica l’uomo in quanto misura di tutte le cose con Protagora, assiste a un’intensa attività politica e quindi necessariamente deve rivedere, seppur con fatica, i concetti fondamentali del diritto. Anche nel diritto l’uomo con le sue inclinazioni, positive o negative, viene messo al centro della scena.

#2 a cura di Edoardo Raiola, 5^ f
Nella conferenza La pandemia ai tempi degli antichi, Eva Cantarella affronta un problema di incredibile attualità, vale a dire come il rapporto tra l’uomo e le pestilenze sia cambiato nel corso dei secoli, sottolineando come l’uomo inizialmente identificasse le pestilenze quali castighi divini, fino al sofferto raggiungimento della consapevolezza che siamo noi, in realtà, ad avere nelle mani le redini del nostro destino. Siamo noi, dunque, la causa dei nostri mali. Tale presa di coscienza rappresenta uno stadio fondamentale del processo evolutivo e offre uno spunto di riflessione ottimo per capire come agire e reagire alla pandemia che stiamo attualmente vivendo.
Un altro nodo centrale dell’analisi condotta dalla professoressa Cantarella è rappresentato dalla distinzione tra i concetti etico-giuridici di responsabilità oggettiva, per la quale l’uomo deve rispondere di un fatto compiuto indipendentemente dalla volontarietà dell’azione, e di responsabilità soggettiva, per la quale l’uomo deve rispondere solo delle azioni compiute volontariamente. Il passaggio dalla responsabilità oggettiva a quella soggettiva è documentato dalle fonti greche e, in particolare, dalle tre fonti che contengono la descrizione di tre diverse pestilenze: la prima narrata da Omero nel suo poema Iliade, un’altra descritta da Sofocle nelle due tragedie Edipo Re ed Edipo a Colono e l’ultima nella Guerra del Peloponneso di Tucidide.
L’Iliade si apre con uno scenario terribile: Apollo ha diffuso la peste tra l’esercito acheo, poiché Agamennone aveva recato offesa a un sacerdote del Dio, Crise. L’epidemia dunque è qui intesa e considerata dagli uomini come una sciagura voluta dagli dei. Inoltre, in una società come quella omerica, fondata sui concetti di onore, vergogna e vendetta, l’idea che l’uomo debba rispondere di atti volontari non esiste.
Come nell’Iliade, anche nell’Edipo Re la pestilenza ha un’origine divina, dal momento che è stata inviata dagli dei per purificare la città, macchiata dai peccati commessi involontariamente da Edipo, il quale, senza saperlo, si era unito alla madre Giocasta e aveva ucciso suo padre Laio. Questa tragedia e, in particolare, la vicenda di Edipo rappresentano un tipico esempio di responsabilità oggettiva. Egli, infatti, si sente colpevole e sente il dovere di punirsi accecandosi, nonostante i suoi peccati siano stati commessi involontariamente. Già nell’Edipo a Colono riscontriamo un importante cambio di prospettiva, in quanto il protagonista inizia ad acquistare la consapevolezza di non avere alcuna colpa. A distanza di pochi anni, dunque, il principio di responsabilità oggettiva inizia ad essere messo in dubbio.
Le cose cambiano completamente con Tucidide. Nella Guerra del Peloponneso viene descritta la pestilenza che si abbatté su Atene nel 430 a.C. In questa opera, l’autore dà prova di un’accuratissima analisi storica e offre dal punto di vista strettamente medico una descrizione dei sintomi, delle cause e del processo di cronicizzazione, che conduce infine alla morte del malato. Dopo aver letto un passo tratto dal libro II, paragrafo 47, dell’opera tucididea, la professoressa Cantarella sottolinea come Tucidide faccia risalire la causa dell’epidemia a fattori umani e non più divini. In particolare, la colpa ricade sugli Spartani e sugli Asiatici che portarono ad Atene la pestilenza. Ma un’altra causa fondamentale della diffusione della peste è senza dubbio l’affollamento continuo all’interno delle città con un alto tasso di contagio, e questo elemento rappresenta uno degli spunti più attuali che Tucidide possa offrirci. La conclusione è che la pestilenza e la sua diffusione dipendono unicamente dal nostro comportamento in relazione all’ambiente e agli altri.
La conferenza si conclude con un ultimo appello agli ascoltatori da parte della professoressa Cantarella, la quale esorta tutti a prendere coscienza della responsabilità morale che abbiamo nei confronti di noi stessi, degli altri e dell’ambiente che ci circonda, nonché del fatto che il cambiamento dipende solo ed esclusivamente dalle nostre azioni.

#2 a cura di Elena Petrangeli, Martina Salvitti, Martina Sbarra, Filippo Sisti, Alessia Trasatti, 3^ e
L’incontro a cui abbiamo partecipato è stata una grande occasione che ci ha permesso un’analisi della pandemia nel mondo antico e nel mondo contemporaneo. L’esperta Eva Cantarella ci ha proposto tre pestilenze note del mondo antico: quella narrata nell’Iliade da Omero, quella narrata nell’Edipo Re e Edipo a Colono da Sofocle e quella narrata dallo storiografo Tucidide, avvenuta agli inizi della Guerra del Peloponneso che trovava su fronti opposti Sparta e Atene.
Esponendo questi racconti, la studiosa ci ha illustrato la visione che avevano i Greci della responsabilità morale dell’essere umano, legata alla concezione della pandemia: inizialmente, la peste è frutto di un giudizio divino che richiede appunto un castigo, in seguito invece, nella laicità di Tucidide, troviamo una consapevolezza dell’uomo, che ormai sa di essere aitios (responsabile) degli avvenimenti e che quindi si autodirige.
Come già affermato, abbiamo potuto analizzare le diverse cause della pandemia nei tre diversi brani: nel primo estratto presentato, appartenente all’Iliade, la pandemia è dovuta al comportamento inadeguato di Agamennone verso il dio Apollo, quindi ad una mancanza di rispetto da parte di un umano nei confronti di un dio; il secondo contenuto illustra la pestilenza come conseguenza di un’azione turpe (l’incesto) commessa inconsapevolmente da Edipo e dalla madre Giocasta. Mentre nell’Edipo Re il protagonista si ritiene colpevole delle sofferenze a cui ha sottoposto il suo popolo e allora si allontana di sua volontà dalla città, nell’Edipo a Colono egli si giustifica affermando di non essere colpevole, essendo inconsapevole della realtà ingannevole dei fatti. Infine, come ultimo esempio, è riportata l’epidemia che colpì Atene nel 430 a.C. e che in parte determinò lo svantaggio che ha portato alla sua sconfitta.
Nonostante ci siano state alcune digressioni che hanno fatto focalizzare l’attenzione dello spettatore sui miti narrati piuttosto che sul nucleo dell’incontro, è stata comunque un’esperienza formativa ed estremamente interessante. Ci ha particolarmente colpito il crudo e vicino passo di Tucidide, largamente lodato dalla storica, sulla peste, sui suoi sintomi e modalità di infezione (in cui si evidenzia anche la gravità del fare assembramenti). È venuto spontaneo immedesimarci negli Ateniesi di quel periodo che furono colpiti improvvisamente da una sciagura fatale, così come noi siamo stati colti impreparati dal Coronavirus. Inoltre, i miti narrati dall’esperta ci hanno dato l’occasione di riflettere per poter mettere a confronto quelle che sono le conseguenze che le epidemie avevano sulle persone del tempo, rispetto ai problemi che riscontriamo noi.
Infatti se da una parte, al tempo dei miti narrati vi erano difficoltà quasi soltanto dal punto di vista economico e demografico, quindi si soffriva la povertà, la fame, la sete e quindi le carestie, la gente di oggi (come si evidenzia anche in Tucidide, pur se in modo diverso) soffre anche da un punto di vista psicologico in quanto si ritrova isolata socialmente e separata da amici, parenti che vivono in case diverse e da tutto ciò che comporta un contatto fisico essenziale per il benessere umano. È stato perciò impressionante rilevare parallelismi e differenze tra una realtà distante oltre duemila anni e quella che stiamo vivendo oggi così come è stato affascinante assistere brevemente all’evoluzione del pensiero dell’uomo.