La notte degli eroi
conduce Neri Marcorè
partner Lavazza Group
Di stelle è piena la notte, luci che rischiarano il buio dell’Universo in attesa del giorno.
Di intrighi e prodigi, amori, passioni e avventure è costellata la notte prima del Festival del Classico: una maratona di voci per viaggiare in penombra fra le storie del mondo antico – ancora così simile al nostro.
#1 | FORZA, PASSIONI E LACRIME DEGLI EROI
con Matteo Nucci, a partire da Achille e Odisseo (Einaudi)
Abituati a contrapporre Ettore e Achille, i due eroi che si sfidarono sotto le mura di Troia, dimentichiamo la parola degli antichi. Sono Odisseo e Achille i due poli opposti, gli eroi che rappresentano, con le loro azioni, due paradigmi di umanità agli antipodi. Ma in che senso? Due intelligenze, certo. E soprattutto due stili di vita. Due modi di spendere la più grande ricchezza a disposizione dei mortali: il tempo.
#2 | OGNI ESSERE CHE HA VISSUTO L’AVVENTURA UMANA SONO IO
con Chiara Valerio, scrittrice
Memorie di Adriano, per come lo conosciamo oggi è un doppio romanzo. Il primo, evidente, dichiarato, è la vita dell’imperatore Adriano raccontata da lui medesimo, il secondo implicito, ctonio pure, è la storia di Marguerite Yourcenar scrittrice, l’opera al nero di Yourcenar che dopo essersi dissolta («l’io in testa a un’opera dalla quale volevo cancellare me stessa»), si ricrea tanto da dire «Ecco che cos’è questo romanzo, non solo l’ho scritto, ma te lo spiego».
#3 | LE DONNE E LA GUERRA, LA GUERRA DELLE DONNE
con Melania Mazzucco, scrittrice
Non solo fanciulle rapite e madri caritatevoli, i testi antichi sono ricchi di donne che le guerre non le fanno scoppiare ma le combattono e, spesso, le vincono. A volte le perdono, tante volte le subiscono, alcune imbracciano armi e coraggio e si buttano nella battaglia. Ci sono le Amazzoni, c’è la dea Athena, e Lisistrata, che combatte con le parole. Ma anche Andromaca, sposa di Ettore fedele e affettuosa, e ovviamente Elena di Troia. E oggi? Che ruolo hanno le donne nelle guerre? Anche adesso ci sono sia vedove tristi che capi di Stato (e di decisioni), sia orfane che ufficiali sul campo. Pure in questo caso, i classici raccontano storie eterne.
#4 | LA LEZIONE DI ENEA
con Andrea Marcolongo, scrittrice, a partire dal libro Laterza
Se in tempo di pace e di prosperità chiediamo a Omero di insegnarci la vita, a ogni rivolgimento della Storia dovremmo deporre Iliade e Odissea e riprendere in mano l’Eneide. Il canto di Enea, infatti, è destinato al momento in cui si sperimenta l’urgenza di raccapezzarsi in un dopo che stordisce per quanto è diverso dal prima in cui si è sempre vissuto. Perché Enea è l’eroe che vaga nel mondo portandosi sulle spalle anziani e bambini, è colui che viaggia su una nave senza nocchiero alla ricerca di un nuovo inizio, di una terra promessa in cui ricominciare. È l’uomo sconfitto, colui che non ha più niente tranne la capacità di resistere e di sperare. Un personaggio quanto mai attuale.
#5 | ODISSEO, UOMO MODERNO CONTRO LE AVVERSITÀ
con Roberto Vecchioni, cantautore, a partire da Lezioni di volo e di atterraggio (Einaudi)
Odisseo è “colui che è odiato”, che è preso in giro dal destino. Ma il destino lui lo affronta, lo sfida, perché non ha paura di nulla, si butta a capofitto contro qualsiasi avversità. Incarna pienamente lo spirito dell’Illuminismo, secondo cui l’uomo è più forte di ogni cosa. Spartiacque tra una cultura di favole mitiche e la conquista dell’anthropos, è comunque pieno di dubbi e paure, ma questo – tratto tipicamente umano, del resto – non gli impedisce di andare a sbattere contro ciò che non conosce. E di vincere sempre. Perché non ha timore di inventare la vita.
Studenti e studentesse del Liceo Classico Francesco Vivona di Roma hanno ascoltato La notte degli eroi, queste le loro considerazioni.
FORZA, PASSIONI E LACRIME DEGLI EROI, con Matteo Nucci
#1 di Costanza Cantelmo, Elena Melchiorri, Marta Nepi e Giorgia Torre, 3^ f
“Gli eroi non sono solo coloro che compiono opere straordinarie, ma possiamo essere tutti noi”. Matteo Nucci apre così il proprio discorso in occasione della Notte degli eroi. Secondo una concezione arcaica, per essere un eroe bisognava semplicemente essere sé stessi e realizzare completamente la propria umanità.
Erroneamente, l’ideologia comune vede come eroi opposti Ettore e Achille, in realtà, i veri eroi che si contrappongono sono i due protagonisti dei due poemi omerici: Achille e Odisseo. Il primo, viene presentato come un uomo schietto, che non si tira mai indietro, dice ciò che pensa e che corre contro l’ostacolo. Il secondo, ritrae un personaggio prudente, accorto, ingannatore e che accerchia l’ostacolo.
Successivamente Nucci fa riferimento al nono canto dell’Iliade, in particolare al momento in cui Odisseo si reca da Achille per cercare di persuaderlo a ritornare nel campo di battaglia. Cita poi Platone, che scrisse un’opera intitolata “Ippia Minore”, nella quale il sofista Ippia si confronta con Socrate circa la possibilità di ingannare. Anche il sofista menziona questo episodio, riportando le parole di Achille con le quali sostiene la sua volontà di essere schietto e di non sopportare gli inganni.
Socrate cercherà di abbattere la tesi dell’avversario reputando che il Pelide stia mentendo, ma Ippia lo smentirà: l’eroe desidera realmente tornare in patria e solo successivamente cambierà idea. Il filosofo fa intendere chiaramente infatti la differenza sostanziale fra i due eroi: non risiede nel comportamento o nella loro intelligenza, ma nell’utilizzo del Tempo, considerato la ricchezza maggiore di cui dispone ogni uomo, in quanto mortale. Achille vive profondamente il presente. Ama la vita, in quanto sostiene che questa, quando vola via, non la si può più riprendere e che, in confronto, qualsiasi bene è imparagonabile.
Odisseo, al contrario, ha una mente proiettata nel futuro. Ne è una prova il passo in cui egli si trova nella caverna di Polifemo e, in un primo momento, desidererebbe ardentemente ucciderlo, ma non segue il proprio istinto poiché aveva capito che solo il ciclope era in grado di spostare il masso della grotta in cui erano tenuti prigionieri.
A entrambi manca infatti un aspetto fondamentale: il passato. Nucci dice infatti che gli indovini erano in grado di prevedere il futuro dal momento che conoscevano il passato. Lo scrittore conclude la conferenza ritenendo che, per vivere al completo la propria esistenza, basta solo seguire il proprio carattere.
#2 di Livia Costanza Barone, Chiara Racanicchi e Domitilla Rossi, 3^ d
Achille e Odisseo. La ferocia e l’inganno è il titolo di un libro di Matteo Nucci, scrittore che è stato ospitato a “la notte degli eroi” per parlare della figura dell’eroe, argomento approfondito nel libro sopra citato.
Che cosa significa essere un eroe? È necessario, prima di tutto, stabilire la differenza tra la concezione contemporanea dell’eroe e quella propria degli antichi. Infatti, oggi è colui che lotta con coraggio e generosità per ideali ritenuti validi e giusti; mentre per gli antichi era l’essere umano, non immortale e invincibile come noi erroneamente siamo soliti considerarlo, che realizzava a pieno la propria umanità. Gli eroi greci dovevano rispettare un sistema ideale di valori posti alla base della società coeva, tra i quali la τιμή (onore) e il κλέος(gloria). Infatti, Ettore e Achille, nonostante siano acerrimi nemici, hanno caratteri e destini simili: tengono molto alla famiglia, non sono favorevoli alla guerra di Troia ma vanno incontro alla morte con dignità e onore. Al contrario, fin dall’antichità, Achille e Odisseo sono considerati eroi dai caratteri opposti: la τιμή di Achille deriva dell’ἀρετή (valore che si conquista in battaglia per merito), mentre quella di Odisseo dalla μήτις (intelligenza astuta). Quest’ultimo raggira il nemico con inganni e menzogne, nega la propria identità per superare le difficoltà; invece, Achille si distingue per la sua schiettezza che lo spinge spesso a rivolgere pesanti insulti quando si scontra con il nemico come accade durante la lite con Agamennone. Riportiamo il seguente passo:
“Ah vestito di spudoratezza, avido di guadagno, come può volentieri obbedirti un acheo, o marciando o battendosi contro guerrieri con forza? Davvero non pei Troiani bellicosi io sono venuto A combattere qui, non contro di me son colpevoli: […]
Ma te, o del tutto sfrontato, seguimmo, perché tu gioissi, cercando soddisfazione per Menelao, per te, brutto cane, da parte dei Teucri; e tu questo non pensi, non ti preoccupi, anzi, minacci che verrai a togliermi il dono”
(Iliade, I, vv.149-161)
Nel celebre dialogo giovanile “Ippia minore”, Platone sottolinea tali differenze attraverso il dialogo tra Socrate e il sofista Ippia, esperto dei poemi omerici.
“SOCRATE: […] Dimmi, per vedere se riesco a capire qualcosa di più: Achille non è stato rappresentato da Omero come astuto?
IPPIA: Per nulla, Socrate, anzi come estremamente semplice e schietto, perché anche nelle Suppliche, quando Omero li fa discutere tra loro, Achille dice a Odisseo: Divino figlio di Laerte, Odisseo dalle mille astuzie, devo dire francamente il mio progetto, come agirò e come credo si realizzerà. Infatti mi è inviso come le porte dell’Ade chi nasconde una cosa nell’animo e ne dice un'altra. Io invece parlerò come mi sembra sia meglio. In questi versi Omero mostra il carattere di entrambi: Achille è schietto e semplice, Odisseo astuto e bugiardo. […]
SOCRATE: […] “Tu dunque, Ippia, credi che il figlio di Teti, educato dal sapientissimo Chirone, fosse così smemorato che, dopo aver prima oltraggiato gli impostori con l’ingiuria estrema, subito dicesse a Odisseo che sarebbe salpato e ad Aiace che sarebbe rimasto, o non credi che invece lo facesse deliberatamente per ingannarlo, ritenendo che Odisseo fosse rimbambito e per risultare migliore di lui con questi stessi raggiri e queste menzogne?
IPPIA: A me non pare proprio così, Socrate: anzi, convinto dalla sua benevolenza, disse ad Aiace in modo diverso che a Odisseo le stesse parole; Odisseo, invece, quando dice la verità, la dice sempre per ingannare, al pari delle menzogne.”
Ma la differenza principale tra i due eroi è la diversa gestione della ricchezza dell’uomo: il tempo. Infatti, Achille vive il presente seguendo il suo istinto con intraprendenza, mentre Odisseo agisce con prudenza per superare gli ostacoli del presente e vivere il futuro.
Secondo Nucci, Odisseo è troppo proiettato verso il futuro. Per esempio, giunto finalmente ad Itaca, dopo un estenuante viaggio durato vent’anni, confessa nel talamo nuziale alla fedele moglie Penelope l’intenzione di partire per un nuovo viaggio.
“Allora, l’ingegnoso Odisseo disse alla moglie: “Donna, non siamo ancora giunti alla fine di tutte le prove: mi resta un’impresa immensa, lunga e difficile, che devo portare a compimento, come mi predisse l’ombra di Tiresia”
(Odissea, XXIII, vv. 247-251)
Invece, per la sua impulsività, Achille sembra gettarsi incontro alla morte ma in realtà ama la vita, come si evince da questo passo dell’Iliade: “Niente per me vale come la vita […].
Buoi e pecore grasse si possono rubare, tripodi e cavalli dalla bionda criniera acquistare, ma la vita dell’uomo non la puoi rubare né acquistare, perché indietro ritorni, una volta varcata la chiostra dei denti.”
(Iliade, IX, vv. 401-409)
Nonostante le loro differenze, Achille e Odisseo hanno, oltre alla vitalità, un punto in comune: l’assenza del passato nel loro modo di vivere. In realtà, per gli antichi il passato era fondamentale: si riteneva che gli indovini fossero in grado di predire il futuro grazie alla conoscenza del passato. Ciò spiegherebbe il motivo per cui il celebre indovino Tiresia fosse cieco. Egli, infatti, conoscendo il passato, non necessitava di vedere il presente per conoscere il futuro.
Per noi questo aspetto è stato molto interessante perché normalmente non viene approfondito durante le lezioni scolastiche, come anche la vitalità di Achille. Infatti, siamo soliti immaginare questo eroe come il classico guerriero spietato che non teme la morte ed è pronto a sacrificare la propria vita pur di ottenere il κλέος. La comprensione di questi argomenti è stata facilitata dall’esposizione lineare, schematica, esaustiva e coinvolgente. Allo stesso tempo, però, tale esposizione è risultata sintetica e con pochi collegamenti che avrebbero potuto offrire più spunti di riflessione e stimolare maggiormente la curiosità dello spettatore.
LE DONNE E LA GUERRA, LA GUERRA DELLE DONNE, con Melania Mazzucco
#1 di Alice Ruopoli e Melissa Fantauzzi, 3^ f
1988, in Siberia, ci fu il ritrovamento di una tomba di un guerriero, dopo delle analisi fu rivelato che si trattava di una donna. Furono trovate altre sepolture che vennero scoperte con armi all’interno. Abbiamo prove recenti della loro esistenza, non si tratta di un mito ma delle amazzoni che appartengono alla cultura italiana. Nell’Iliade sono raccontate come delle nemiche. Ci affascinano perché non sono come le dee guerriere forti e immortali e perché sappiamo della loro inesistenza. Invece le amazzoni combattono e muoiono. Il mito di Pentesilea apriva le Etiopide, ormai andato perduto, ma che ci viene ricordato da alcuni grammatici. La scena primaria è il duello di Pentesilea e Achille. Nel Post-omeriche che riscrive l’Etiopide, viene affrontato subito il duello, dove l’amazzone muore e Achille le leva l’elmo e vede una donna bellissima da cui rimane folgorato. La figura dell’amazzone ci è arrivata attraverso l’arte. I templi greci raffiguravano un ammazzopachia, dove la guerriera veniva sconfitta. Lei deve morire e rientrare nelle ordine delle cose e così noi la celebriamo. Nell’Eneide, Virgilio trapianta la figura dell’amazzone nella natura epica latina. La donna è Camilla che entra in scena a cavallo e presenta il catalogo delle sue morti, presentandola come una donna forte e eroica. La sua morte è meno eroica di lei, che viene accecata dalla brama di bottino.
Poi c‘era stata una donna che non era una poetessa bensì una straniera telesina di Argo la quale aveva meritato una scultura. Si era messa la testa della sua gente per difenderla quando mancavano i guerrieri dall’ assedio con gli spartani. La scultura aveva come messaggio quello di abbandonare i libri cingere l elmo ed entrare in battaglia. Sono figure che risuonavano nell’immaginario antico come ammirazione. Grazie a Virgilio la figura della donna guerriera si trapianta anche nel nostro immaginario e entra nei poemi medievali un esempio è il “the olive” nel quale vi è la figura interessante di un giovane guerriero che però è in realtà una ragazza travestita quindi sono presenti anche temi moderni : il travestimento, l’ambiguità. Melania Mazzucco nel suo libro “la camera di balthus” ambientato nel 15 esimo secolo parla di un giovane guerriero che però in realtà è una ragazza. L’autrice spiega il motivo per il quale ha deciso di trattare la donna in guerra il primo motivo è quello di esaltare la figura della donna , secondo motivo è quello di punto trattare l’argomento guerresco che nei secoli prima veniva considerato un appannaggio di narratori degli aedi. Il romanzo è ambientato in Afghanistan, la protagonista non è una donna soldato bensì una donna che ha delle responsabilità ed ottiene sempre il rispetto dei suoi uomini.
Può sembrare un personaggio fiabesco ma in realtà ci sono stati molti personaggi storici e importanti tra cui Onorata Rodiano un’italiana di Cremona che visse nel XV secolo all’inizio del secolo era una pittrice che aveva guadagnato anche tanta credibilità da essere chiamata ad affrescare il castello di un gentiluomo, un nobile del suo tempo. In questo castello viene violentata da un cortigiano e si ribella e lo uccide a coltellate. La professione di pittrice le viene tolta e quindi cosa fece? si unì alle compagnie di mercenari diventando un soldato combattente, combatte fino alla morte travestita da uomo proprio come viene narrato nelle leggende cavalleresche con gli eroi immaginari. Smascherata solamente dalla morte dopo la ferita e si capì che era stata una donna. Fra storia e immaginario vi è sempre una contaminazione perciò il mito viene alimentato anche da episodi storici che poi si perdono nella trasmissione della tradizione. Nella nostra epoca rinascimentale la donna combattente ritorna già sia nel Boiardo che nell’Ariosto ma anche in opere minori. Ritroviamo anche degli elementi presenti nelle amazzoni quindi è una straniera che come Camilla è una smargiassa è bellicosa e che vuole combattere la quale cerca di dimostrare attraverso determinate prove il suo valore.
Inoltre altro elemento fondamentale è appunto quello che nel momento in cui scoprono che la combattente è una donna vi è un grande disonore da parte dei vincitori. Ariosto però da a questa donna una storia ed un passato ed anche un destino e finisce poi nel ritrovarla nella grande famiglia degli eroi. Marfisa come Camilla È un personaggio scivolato un po’ fuori dall’immaginario comune, era un personaggio che significava qualcosa e soprattutto insegnava qualcosa infatti le lettrici contemporanee l’hanno amata per questo. Le donne del cinquecento spesso davano il nome Marfisa alle loro figlie omaggiando il coraggio e la forza e le dimostrazioni di valore che donne come lei hanno trasmesso attraverso le loro azioni.
Nella nostra epica moderna ritorna l’eroe Tancredi il quale leva l’elmo alla giovane e si innamora di questa donna perché è morta. Fino al settecento inoltrato vi sono numerose donne che hanno saputo dimostrare sul campo il loro valore assumendo l’identità maschile come per esempio Francesca Scanagatta, Milanese la quale doveva accompagnare il fratello ad iscriversi all’Accademia militare di Vienna però questo si ammalò e lei andò al suo posto lei riuscendo ad entrare all’Accademia con il nome di France e tenette nascosta la sua identità per molto tempo, si conquistò il titolo di alfiere e completò la formazione.
Nel 747 quando iniziarono le guerre napoleoniche parti per combattere e poi fu costretta a lasciare le armi nonostante i suoi successi poiché i genitori spaventati dai rischi e dalla pericolosità della battaglia finì la smascherarono.
Nel mondo italiano cioè nella nostra cultura questo personaggio non è entrato mentre nella cultura austriaca per esempio ha generato opere, letteratura e anche film. Nell’ottocento la figura della donna guerriera , che veniva protetta dai compagni di battaglia che intuivano il loro sesso ma la “proteggevano” , ritorna ad essere vista vittima di guerra oppure come ausiliaria o come assistente, aiutante, infermiera. Sono figure durature che arriveranno nella letteratura fino alla Seconda guerra mondiale dove la donna è narrata nella letteratura sempre come vittima di stupro oppure è un’eroica crocerossina che assiste i feriti.
Ci sono voluti molti rovesciamenti all’inizio del XXI secolo per ricollocare le donne dentro la storia della guerra come per esempio nei film attrici come Lara Croft o l’eroina di Hunger Games che sono donne combattenti armate hanno una valenza importante, questo grazie alla mentalità degli occidentali i quali erano aperti alla presenza delle donne.
LE DONNE E LA GUERRA, LA GUERRA DELLE DONNE, con Melania Mazzucco
#1 di Alessio Bulletti, Fabrizio Cristaudo, Giorgio Lupoli e Tommaso Orsi, 3^ d
La Notte degli eroi è un evento organizzato dalla Fondazione Circolo dei lettori composto da discorsi di critici che espongono la propria opinione su alcuni punti fondamentali della letteratura classica. Durante il proprio intervento, Andrea Marcolongo ci parla del suo punto di vista riguardo l’Eneide e la figura di Enea, che tutti conosciamo ma quasi nessuno riesce a comprendere a pieno. Durante il suo intervento, Andrea Marcolongo sin da subito comunica la difficoltà nel comprendere il personaggio di Enea e questa sua idea è infatti espressa nel suo libro intitolato “La lezione di Enea”, pubblicato lo scorso anno.
Dopo la parentesi introduttiva, la scrittrice ci confida di avere un difficile rapporto con Virgilio: infatti la stessa esprime chiaramente i suoi dubbi sulla poetica virgiliana, definendola a tratti poco comprensibile e noiosa.
La scrittrice esordisce con un confronto molto particolare tra “l’età di mezzo di Enea” e la pandemia che sta colpendo il mondo in questo periodo. Aggiunge la Marcolongo che ,quindi, non c’è periodo migliore per leggere l’opera di Virgilio perché l’Eneide va interpretata come la possibilità di reagire.
Per continuare ha deciso di fare chiarezza analizzando alcuni “luoghi comuni”. Il primo che ha voluto approfondire è quello sul ruolo del Fato nell’Eneide. Inizia spiegando che mentre gli eroi greci sono guidati dal thumos ossia dalla “fame di vivere”, quelli virgiliani, invece, sono guidati dai dettami del destino per poi continuare chiarendo che per Virgilio il Fato non ha nulla a che fare con qualcosa di magico o mistico, ma non è altro che l’insieme delle “regole del gioco” ed è compito dell’eroe prendere le decisioni che influenzeranno la propria vita. Inoltre spiega che nella vita ci sono solamente due regole: la nascita e la morte; per Virgilio però ciò che conta non è cosa accadrà, ma piuttosto come accadrà, come Enea sceglierà di condurre la sua vita.
Il secondo luogo comune analizzato dalla scrittrice è rappresentato dalla pietas. Questo termine non intende un significato letterale spesso associato alla religione, infatti In Virgilio la pietas è il senso del dovere, che nel mondo romano consisteva nel replicare i gesti del mos maiorum.
Un ulteriore argomento di discussione trattato dalla scrittrice Marcolongo è la differenza tra Virgilio e Omero. Il primo scrive la sua opera poiché gli era stato commissionato da Augusto, invece il poeta greco scrive i due poemi autonomamente. Si è addirittura pensato che Virgilio abbia semplicemente compiuto un lavoro di copiatura e che nonostante ciò gli eroi dei poemi omerici risultano più coinvolgenti. Un’altra affermazione comunemente accettata sulla quale l’autrice si sofferma, specificando di averla affrontata per la prima volta scrivendo il libro, è quella delle tre figure femminili più importanti presenti nell’ Eneide: Didone, Creusa e Lavinia. Ciò che l’autrice sottolinea è la grande raffinatezza e sensibilità della poetica di Virgilio nei loro confronti e la sua capacità di analizzare profondamente il profilo psicologico di queste e di delineare le loro figure in maniera più precisa rispetto agli scrittori del suo tempo.
La scrittrice definisce Enea come “l’eroe dei tempi difficili”. Prende come esempio la scena in cui Enea porta sulle spalle l’anziano padre Anchise e per mano il giovane figlio Ascanio. Certamente, dice la Marcolongo, Anchise avrebbe voluto piangere, stremato dalla fatica e dal dolore della guerra, ma Enea non può permettergli di farlo: il suo senso del dovere lo spinge a continuare. Enea è solo ed ha la responsabilità di suo figlio, infatti, a differenza degli eroi Omerici, non agisce d’impulso, come fa Achille, e non può piangere per la nostalgia come fa Odisseo sul promontorio di Ogigia.
Deve invece continuare il suo viaggio con la speranza che ci sarà un futuro migliore. Come già spiegato prima, Enea è condotto in qualche modo verso la penisola italica dal Fato. Sottolinea, inoltre, la Marcolongo, una tra le più importanti caratteristiche di Enea, alla pari di Odisseo, è l’agire ragionando, considerando le conseguenze delle sue azioni, ma a differenza di quest’ultimo, a lui non è concesso lasciarsi vincere dall’angoscia. È questa sua caratteristica che lo rende diverso dagli eroi omerici e unico.
La differenza tra Enea e gli eroi omerici viene paragonata dalla scrittrice, per far sì che venga compresa al meglio, con la differenza tra resistere e reagire. Resistere significa “stringere i denti”, mentre reagire implica qualcosa di più: per reagire serve quel coraggio e quella sfrontatezza necessaria per guardare in faccia il male e tirarne fuori del bello, significa non cedere alla nostalgia con la volontà di creare le basi per un tempo nuovo.
Per concludere, il messaggio che vuole mandarci la Marcolongo è che l’Eneide è un’opera particolarmente difficile da comprendere nei periodi di pace, infatti lei stessa afferma durante l’intervento che di solito l’Eneide non piace quando tutto va bene, mentre quando si affronta un periodo difficile, questa viene presa come punto di riferimento. Dunque, l’interpretazione personale della Marcolongo dell’Eneide è che quest’ultima sia un vero e proprio manuale di istruzioni per non lasciarsi abbattere nei momenti di difficoltà.
ODISSEO, UOMO MODERNO CONTRO LE AVVERSITÀ, con Roberto Vecchioni
#1 di Flaminia Grassi, Greta Amoruso, Costanza Di Filippo e Valentina Laureti, 3^ f
Odisseo, termine la cui etimologia deriva dal verbo greco odussemai (essere avversato), è un uomo nuovo che per la prima volta nella storia della letteratura, dell’invenzione e dell’epica è padrone della sua persona. Il viaggio intrapreso da Odisseo ha alla basa una continua ricerca di sé stesso e dei suoi limiti. Egli infatti non tenta di conoscere gli dei o ciò che è inconoscibile.
Il mondo antico è fortemente dominato dall’immagine di una realtà metafisica incombente che è difficile da conoscere e da cambiare. La sfida di Odisseo è dunque attraversare le maglie della rete di questa realtà. Pertanto, si inventa l’allucinazione del viaggio. Vecchioni infatti sostiene che Odisseo, dopo aver mangiato il fiore di loto essendo giunto presso la terra dei Lestrigoni, come se fosse stato drogato, abbia sognato il viaggio ai limiti del Mediterraneo, la ricerca di luoghi sconosciuti, il ritorno e i drammi incontrati durante il suo percorso, come le sirene, Scilla e Cariddi, o altre figure femminili che rappresentano ostacoli per l’avventura umana. Infatti, quando si risveglia dal suo sogno, Odisseo è nella sua casa, a Itaca.
Se nel sogno era andato avanti con la sua vita di circa vent’anni immaginando la guerra di Troia e il viaggio intrapreso per tornare a casa, nella realtà fisica era rimasto alla vita di tutti i giorni quando suo figlio era ancora un bambino. Odisseo ha dunque la consapevolezza di essere ancora l’Odisseo giovane ma ha comunque la sensazione di aver compiuto le vicende narrate in entrambi i poemi omerici. Odisseo ha dunque in sé due personalità contrastanti che da sempre caratterizzano l’uomo in generale: da una parte l’amore per l’avventura, dall’altra per la stanzialità. Questi due fattori vengono considerati da Vecchioni metafora dell’essere, in cui l’uomo ha la consapevolezza dei suoi valori e di ciò che sta facendo, e del divenire, in cui la sua mente e la sua anima costruiscono lontano da casa.
I grandi intellettuali della storia hanno dato diverse interpretazioni al viaggio di Odisseo. La visione più chiara è quella contemporanea fornita dalla scuola di Francoforte: Odisseo ai nostri giorni non compierebbe più un viaggio per conoscenza bensì per interesse. Ciò è dovuto al fatto che sono mutati i caratteri distintivi dell’uomo. Prima Odisseo era colui che voleva conoscere la sua anima adesso è colui che vuole sapere fino a dove il suo corpo può spingersi, cosa può fare e costruire. Infatti se prima Odisseo beveva dalla natura adesso vuole cambiarla e inevitabilmente anche distruggerla. Questa è l’interpretazione più moderna nata riguardo il personaggio di Odisseo, ma allo stesso modo di rilevante importanza è quella di Levi, che instaura un paragone tra la figura di Odisseo e la battaglia umana contro gli orrori del nazismo; quella di Foscolo che ritiene che il viaggio di Odisseo sia un continuo voler tornare ad Ogigia, l’unico luogo in cui è rimasto felice per anni; quella di Joyce secondo cui Odisseo compie un viaggio perdente, non ha possibilità di ritorno. Ciò è collegabile ai nostri giorni, al dramma dell’esistenzialismo, al dramma del mondo caduto nell’oscurità dopo il decadentismo. Per Kavafis il viaggio di Odisseo è un circolo per tornare a Itaca; lo stesso dicono gli Ebrei, in particolare Levinas, ma non è un caso che il suo eroe è Abramo seguace di Dio mentre quello di Omero è Odisseo che segue se stesso. Ma in definitiva il viaggio di Odisseo non è altro che il viaggio di tutti gli uomini, che si compone di tre tappe fondamentali: l’infanzia, l’avventura e il nostos.
Queste sono dimostrabili tramite tre fasi: quella di Odisseo, quella di Robinson Crusoe e quella di Bloom di Joyce. L’infanzia di Odisseo è quella di Telemaco, di Robinson è il periodo degli studi a Londra e quella di Bloom è un insieme di esperienze in un singolo giorno che unisce infanzia, avventura e nostos. Ma non è mai l’arrivo la parte più bella del viaggio, ma il viaggio stesso. Il nostos di Odisseo è una continua battaglia col mare, che riunisce in sé le caratteristiche dell’eternità, del cosmo, dell’imprevedibile e dell’imprevisto.
Allo stesso modo anche quello di Robinson è un’eterna battaglia, questa volta contro la terra, sulla quale si ritrova da solo e deve cercare di sopravvivere, è un viaggio illuministico così come quello di Odisseo Il viaggio di Joyce è quello dei confronti con Dedalus, delle discussioni, del non raggiungere mai delle soluzioni. Ma i tre anno dei nostoi molto simili: quello di Joyce è perdente, conduce alla tristezza di essere tornato a casa, tipico del ‘900; quello di Robinson è utilitaristico, perché una volta tornato in patria diventa ricco e va d’accordo con idee illuministe; quello di Odisseo secondo molti è il ritorno a Itaca spinto dalla nostalgia che deriva proprio dalla mancanza di una terra a cui aggrapparsi dopo le innumerevoli avventure.
Il “nostos” di Odisseo è il ritorno a Itaca, la sua cara terra madre. A proposito di ciò, molti critici letterari affermano che la nostalgia di questo personaggio dipenda proprio dalla mancanza di una terra in cui fare ritorno e a cui aggrapparsi, dopo essersi avventurato in giro per il mondo.
Nella storia greca Ulisse è il primo personaggio a parlare di sé, ponendosi al centro del poema, non avendo una concezione metafisica pur seguendo ed essendo vittima delle decisioni, favorevoli o meno degli dei. Nell’Odissea troviamo dunque una visione antropocentrica poiché lo scopo del viaggio è arrivare alla vera conoscenza di sé. L’Iliade ci offre uno scenario diverso dal momento che viene considerato un poema oggettivo in cui le azioni e situazioni si concretizzano a differenza dell’ odissea che è formata da allucinazioni, sogni e ricordi che non possono materializzarsi ma forniscono all’eroe esperienza e conoscenza.
Quello di Odisseo è un viaggio di conoscenza di se stesso e del mondo che lo circonda; egli, infatti, è un uomo frontiera. E’ anche il primo grande eroe di mare, ovvero colui che non si aggrappa alla sicurezza della terra, ma cerca continuamente nuovi stimoli e nuovi modi di vivere proprio nell’alternanza del mare.
A questo si oppone ‘l’uomo terra’ ,come Gilgamesh, che si ferma a mangiare ciò che ha seminato. Questi due esempi indicano le due scelte di vita e i due modi di vedere il mondo che un uomo può avere: la prima che segue la concezione di vita dell’ ‘uomo terra’, ovvero custodire e perseguire quello che abbiamo, senza andare oltre i limiti; la seconda, sicuramente più complessa, che incita a non accontentarsi mai e andare sempre alla ricerca di nuove avventure.
Ulisse, il nuovo eroe, è il riflesso di una società moderna e ,a testimonianza di ciò, troviamo una nuova prerogativa: la metis, l’intelligenza astuta, che lo protegge nei momenti peggiori. Anche la moglie è caratterizzata da un’intelligenza emblematica, è come se rappresentasse un alter-ego al femminile di Ulisse. Penelope riesce a comprendere il contesto, è meticolosa, come possiamo comprendere nei passi in cui il palazzo è occupato dai Proci quando non fornisce risposte precise per quanto riguarda la tela, e infine la principale caratteristica che i due hanno in comune è il saper sospettare. I coniugi infatti non si imbattono nelle cose senza ragionare. A loro vengono contrapposti i compagni di viaggio di Ulisse, che, come dichiarato già nel proemio, verranno puniti per la loro stoltezza.
Uno dei messaggi che si può ricavare dall’avventura di Ulisse è che non basta quello che abbiamo e facciamo, il mondo esterno è grandissimo e pieno di pericoli ma bisogna avere la forza di ricodificarlo a proprio favore per superare i momenti di difficoltà. Una delle varie caratteristiche di questo eroe è proprio quella di essere multiforme, capace di adattarsi a ogni situazione.
Egli è riuscito ad arrivare in luoghi e si è trovato in situazioni che gli altri non conoscono o non hanno il coraggio di conoscere. Queste esperienze lo hanno portato a un maturazione interiore, come ad esempio dalle sirene ,secondo Virgilio, Ulisse impara che cos’è l’intelligenza, da Calipso sperimenta lo struggimento d’amore , da Circe apprende che gli ostacoli della vita sono soprattutto quelli di tipo carnale. Da altri personaggi, come Polifemo, che si può dire una bugia per risollevarsi da situazioni avverse, riuscendo così a recuperare la sua vera identità di eroe, solo dopo averla negata. Ma l’avventura più significativa è il compimento della nekya, un rito con cui i morti vengono evocati per dare auspici e indicazioni sul futuro.
Qui troviamo la più profonda, a livello affettivo, tra le discese agli inferi più note, quelle compiute da Enea e Dante. Il non poter abbracciare la madre Anticlea ma sentirla preoccupata per il suo futuro, provoca allo stesso tempo in Ulisse un senso di malinconia e crescita interiore poiché l’elemento affettivo e spirituale ricavato da questo incontro l’ha fatto molto più maturare rispetto ad altre avventure. La madre non lo considera un eroe ma suo figlio, il quale è simbolo dell’umanità in quanto è riuscito ad arrivare alla conoscenza di tutti questi enigmi dell’esistenza.
Si può dunque arrivare alla conclusione secondo la quale la conoscenza del reale si conquista poco alla volta, ma questa in realtà non è tanto importante quanto la conoscenza di quello che abbiamo dentro, dello spirito. Quando quest’ultima si conquista i misteri diventano verità e non si ha più paura di affrontare gli enigmi e i pericoli della vita e, nel caso di Odisseo, non si ha più timore del mare e improvvisamente ci si rende conto che l’esistenza dell’uomo non è altro che l’infinità del mare.
#2 di Eleonora Alessandri, Martina Fiorese e Veronica Giordano, 3^ f
La modernità degli eroi
L’eroe ha sempre rappresentato un modello, una figura da seguire, che tutt’oggi rimane attuale grazie al suo modo di porsi nei confronti della vita, che è rimasto invariato nonostante il tempo. Si pensi all’ira di Achille, all’amore di Gilgamesh verso un amico, all’affetto e al rispetto di Enea nei confronti dell’anziano padre. In particolare, per quanto riguarda la vicenda di Odisseo, non solo l’eroe in sé è attuale, ma anche il viaggio che egli affronta, o meglio le sue interpretazioni, che possono essere applicate al viaggio di ogni uomo: la vita.
L’eroe dell’Odissea è un eroe nuovo, in quanto è il primo uomo che si pone a confronto con le divinità. Con l’Odissea, “l’uomo per la prima volta è padrone di sé stesso nella storia della letteratura, nella storia del pensiero, dell’invenzione e dell’epica”. Il nome Odisseo deriva dal verbo greco οδύσσομαι e significa “colui che odia” o “colui che è odiato”, “colui che è avversato” com’è più probabile.
Le tante interpretazioni del viaggio: da Vecchioni a Kavafis
Secondo una delle interpretazioni di Roberto Vecchioni, il viaggio compiuto da Odisseo è stato solamente frutto della sua immaginazione, un’allucinazione che lo porta a vagheggiare l’intero viaggio: egli si addormenta nella terra dei Lestrigoni dopo aver mangiato un fiore di loto che induce chi lo mangia a una totale amnesia. L’eroe si risveglia quindi ad Itaca credendo di aver concluso un viaggio fantastico durato circa venti anni. Tuttavia, la moglie Penelope tenta di riportarlo alla realtà smentendo i suoi racconti e provando la veridicità delle sue parole dicendogli che suo figlio Telemaco è ancora un bambino. Quello di Odisseo è perciò un viaggio interiore in cui si confondono i tempi e la memoria. Come la figura di Odisseo è oggetto di numerose interpretazioni, così anche il viaggio che compie, è variamente interpretato. Appartenente alla Scuola di Francoforte, il sociologo Theodor Adorno ritrae Odisseo come un uomo che al tempo di oggi compirebbe un viaggio non per conoscenza, bensì per interesse e calcolo; mentre in passato l’uomo desiderava conoscere e comprendere la natura, oggi aspira a trovare e superare i limiti per dominarla, se non addirittura manipolarla.
Primo Levi paragona l’Odissea alla battaglia umana contro l’orrore del Nazismo; diversamente, Ugo Foscolo sostiene che l’eroe sia sempre tornato ad Ogigia e che l’intero viaggio in realtà sia contrassegnato dal desiderio di tornare sull’isola, unico posto in cui l’eroe è stato felice, in quanto assolutamente lontano da problemi, nemici e preoccupazioni per anni.
Per James Joyce il suo Ulisse, Leopold Bloom, compie un viaggio perdente, senza possibilità di un ritorno, costituito da sole sconfitte, attualmente collocabili al dramma dell’esistenzialismo (che insiste sul carattere precario e finito dell’uomo, sull’insensatezza, l’assurdo, il vuoto che caratterizzano la condizione dell’uomo moderno) e alla cultura post decadentista che si contrappone alla razionalità del positivismo scientifico e del naturalismo.
Per Kostantinos Kavafis il viaggio è un circolo per tornare ad Itaca: un viaggio solo per il ritorno. Lo stesso concetto è ripreso anche da diversi intellettuali ebrei come Emmanuel Lévinas, il quale identifica l’eroe con la figura di Abramo, che segue Dio, mentre per Omero l’eroe è Odisseo che segue se stesso.
Le tre tappe: Ulisse, Robinson Crusoe di Daniel Defoe e Leopold Bloom di James Joyce
Il viaggio che affronta Odisseo è comune a tutti gli uomini e si compone di tre tappe fondamentali: l’infanzia, l’avventura e il νόστος. In particolare, durante l’infanzia non si comprende ma si tenta di capire, ci si prepara e si avverte qualcosa del mondo; nell’Odissea questa fase è rappresentata dalla Telemachia. Le tre tappe sono identificate anche nel personaggio di Robinson Crusoe di Daniel Defoe e in quello di Leopold Bloom nel libro “Ulysses” di Joyce. In Robinson Crusoe l’infanzia si identifica con gli studi a Londra, mentre in Bloom si ricapitolano le tre tappe in sole sedici ore. La parte più importante e bella del viaggio non è l’arrivo, ma il viaggio in sé, in quanto durante esso si ha l’occasione di accrescere la propria esperienza e la propria cultura, si ha modo di scoprire se stessi grazie all’abbattimento dei propri ostacoli, scoprendo continuamente qualcosa di nuovo. Odisseo considererà questi gli obiettivi del suo viaggio: scoprire se stesso e cercare i propri limiti con l’intento, poi, di superarli. Mentre per l’eroe dell’Odissea il viaggio è una continua battaglia con il mare, che si identifica con il cosmo, il tutto, l’imprevedibile e l’imprevisto, per Robinson Crusoe, invece, esso è una battaglia con la terra: unico superstite di un naufragio avvenuto presso la foce dell’Orinoco, rimane isolato su un’isola deserta dove impara a sopravvivere grazie al suo ingegno. Per Robison il ritorno è la ricchezza materiale e il suo è un νόστος materialistico, in sintonia con la filosofia illuministica dell’epoca che sottende all’ispirazione del romanzo di Defoe.
Per Ulisse, invece, il νόστος è il ritorno alle radici del sé, come è per Arthur Rimbaud che , dopo aver navigato a lungo su Le bateau ivre (come ha poi intitolato la sua raccolta di poesie), cerca una pozzanghera davanti alla casa dove far galleggiare la sua barchetta, abbandonando metaforicamente il vascello della sua vita in balia delle correnti del mare. Ciò segna indelebilmente la sua esistenza, ma anche quella di ogni giovane.
Si je désire une eau d’Europe, c’est la flache
Noire et froide où vers le crépuscule embaumé
Un enfant accroupi plein de tristesses, lâche
Un bateau frêle comme un papillon de mai.
Se io desidero un’acqua d’Europa, è la pozzanghera
Nera e fredda in cui nel crepuscolo profumato
Un bambino inginocchiato e colmo di tristezza, lascia
Un battello leggero come una farfalla di maggio.
Il νόστος di Odisseo, invece, non finisce ad Itaca, egli infatti continuerà a viaggiare per mare, non fermandosi e non accettando mai il riposo: questa è la sua natura, la natura dell’essere umano.
Terra e mare, stanzialità e avventura
In Odisseo ha due personalità, proprie di tutti gli esseri umani: la stanzialità e l’avventura, la terra ed il mare, l’essere e il divenire. Infatti, Odisseo è, perché sa cosa sta facendo e conosce i propri valori, ma è in continuo divenire poiché la sua mente costruisce altrove. Collegato a ciò è il concetto dell’”uomo mare” e dell’”uomo terra”. Una caratteristica di Odisseo, comune a quella di una parte degli uomini, è il fatto che egli sia un “uomo mare”, e non “terra”. Il destino dell’uomo, infatti, è fatto di due scelte: da un lato la stanzialità, ovvero la protezione di ciò che si ha; dall’altro, il non accontentarsi mai, cercando sempre una soluzione diversa e sconosciuta. Nonostante quest’ultima scelta sia la più complessa, è più umana. Odisseo non cerca la stanzialità, non cerca limiti che possano fermarlo, bensì svolge un’ininterrotta ricerca di confini che possa oltrepassare; non si ferma come gli “uomini terra” a mangiare ciò che coltiva, piuttosto cerca continuamente nuovi luoghi per vivere. Odisseo è il primo grande eroe di mare, Gilgamesh e altri sono eroi di terra. In definitiva quello di Odisseo è un viaggio di conoscenza: la μήτις pervade tutta la sua avventura.
Il viaggio come insegnamento
Odisseo ci insegna che ogni sentimento umano ci appartiene, non è estraneo. Citando Terenzio, “homo sum, humani nihil a me alienum puto” (da “Heutantimorumenos”, atto I, scena I). Questa frase rappresenta il manifesto dell’humanitas, concetto ispirato alla filantropia greca, che approda per la prima volta nella letteratura latina con Terenzio.
Vecchioni ci dice:” Non basta quello che abbiamo, quello che facciamo: è necessario riproporre il mondo esterno dentro di noi. […] Quando codifichiamo i problemi, gli ostacoli e le preoccupazioni, sviluppiamo anticorpi per superare i momenti di difficoltà e per farlo c’è bisogno di esperienza, quella che arriva dal continuo viaggio”.
Ulisse, oltre ad essere “uomo frontiera”, è anche “arrivo”, poiché giunge in luoghi dove gli altri non arrivano, neanche intellettualmente. Ogni personaggio che incontra è per lui un insegnamento: le sirene gli insegnano cos’è l’intelligenza, Calipso cos’è lo struggimento d’amore, Circe gli spiega che gli ostacoli della vita sono soprattutto quelli della libido, altri gli insegnano che ogni tanto si può anche mentire.
Ma il più grande insegnamento rimane quello della νέκυια, e in particolare il dolore di non poter abbracciare la madre Anticlea e sentirla preoccupata per il suo futuro. Tra tutte le discese agli Inferi, infatti, quella di Odisseo è la più emozionante perché ricca di affetto. L’arricchimento spirituale prodotto dall’incontro con la madre è più importante di qualsiasi altra conoscenza che Odisseo abbia ottenuto nel viaggio: “Non c’è poesia più alta di quando una madre si preoccupa per il figlio”.
Con Ulisse abbiamo imparato che non c’è mai fine alla conoscenza, la quale si conquista lentamente. Tra le conoscenze, la più rilevante non è quella del mondo, ma è quella interiore, dello spirito. Una volta conquistata questa consapevolezza, non avremo più paura della realtà e il mistero del mare diverrà verità del mare.
Infatti, il rapporto fra esso e Odisseo nel corso della narrazione subirà un mutamento: prima sono avversi, in seguito l’eroe stesso, che rappresenta metaforicamente l’esistenza dell’uomo, diventa l’infinità del mare.