Incontri per le scuole
lezioni speciali per studenti curiosi
in collaborazione con Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale
Cinque appuntamenti del nostro Festival del Classico sono aperti alle scuole – via Zoom, per dare la possibilità a studentesse e studenti di incontrare grandi conoscitori del mondo classico, per ascoltare, fare domande, dare spazio a curiosità e dubbi, condividere.
se sei un insegnante e vuoi coinvolgere la tua classe,
scrivi a classico@circololettori.it
specificando numero studenti e docenti partecipanti,
ti manderemo tutte le istruzioni
venerdì 27 novembre ore 11 e ore 12
Gli eroi di ieri e oggi
con Matteo Nucci
a partire da Achille e Odisseo. La ferocia e l’inganno (Einaudi)
Che cosa vuol dire essere uomini? Gettarsi a capofitto contro gli ostacoli a costo della morte o pianificare con astuzia ogni mossa? Inseguire la verità o manipolarla? Essere Achille oppure Odisseo?
Fin dall’antichità, Odisseo e Achille sono considerati i paradigmi di due modi antitetici di affrontare la vita. Da una parte un’intelligenza duttile, capace di adeguarsi alle circostanze per aggirare gli ostacoli, dall’altra la ferocia di chi pretende di dare forma alla realtà. Odisseo sa aspettare, sopportare, pur di salvarsi. Achille no, consuma l’attimo, divora la propria esistenza. Perché è troppo schietto, istintivo, collerico, almeno quanto Odisseo è prudente, strategico e ingannevole.
L’uno rivolto al futuro, l’altro concentrato sul presente, sono entrambi incapaci di fare i conti con il passato. E sono fragili, come tutti noi, come noi destinati a un corpo a corpo con la loro finitezza.
Ma che cos’è l’eroismo se non vivere fino in fondo la propria condizione mortale?
domenica 29 novembre ore 19
Paura e rabbia nella vita pubblica: un’analisi filosofica
con Martha Nussbaum, filosofa
a partire da Monarchia della paura (il Mulino)
La paura, un’emozione primordiale, può essere opportunamente indotta e sfruttata dal potere.
È ciò che Martha Nussbaum osserva descrivendo metaforicamente come «monarchia della paura» la tendenza di taluni assetti politici ad allarmare proditoriamente i propri «sudditi», fiaccando la loro capacità di giudizio. Il convulso susseguirsi di accadimenti inquietanti (non solo l’elezione di Trump e il distacco di Brexit ma soprattutto il ritorno di atti xenofobi e razzisti) l’ha indotta a riflettere sullo scadimento della vita politica occidentale e sul malessere degli individui, che vede sprofondati nel risentimento, nella rabbia e nella faziosità. La paura è un veleno per la democrazia, perché toglie alle persone l’orgoglio di essere libere e indipendenti nel loro pensiero.
Per sottrarsi alla pressione di un conformismo emotivo tarato sull’angoscia e aprirsi alla speranza, giova ricorrere ancora una volta all’insegnamento degli antichi, l’antidoto a ogni chiusura mentale.
martedì 1 dicembre ore 11
Lucrezio e la repubblica imperiale romana
con Luciano Canfora, filologo classico e storico
Diversamente da quel che suggerisce il cliché sulla lontananza dei seguaci di Epicuro rispetto alla politica, Lucrezio esprime apertamente la sua critica dei metodi feroci della lotta politica nella Roma del suo tempo. Questo avviene nel libro terzo del poema, ma anche nella seconda parte del quinto libro. Lì l’autore, nel tratteggiare un profilo dell’evoluzione storica delle società umane, condanna con forza la pratica dell’imperialismo.
martedì 1 dicembre ore 15
La storia è sempre contemporanea
con Luciano Canfora, filologo classico e storico
In un celebre racconto che prendeva spunto dal testo di Cervantes, Borges capovolse il motto secondo cui la storia è maestra di vita. Obiettò che è vero il contrario, con ciò intendendo spiegare quanto l’esperienza vivente influenzi il lavoro storico; lavoro che – come argomentò Croce – viene innescato dalla vitalità del passato storico dentro di noi. Donde la formula secondo cui la storia è sempre contemporanea. Una visione radicale di tale punto di vista è presente nel primo storico politico del mondo greco Tucidide Ateniese.
mercoledì 2 dicembre ore 10 e ore 11
Dictis non armis
con Ivano Dionigi, latinista
Gorgia (V – IV sec. a. C.), principe dei Sofisti e maestro di incantamenti verbali, dimostra che la parola, da lui definita «un potente sovrano», consente di vincere anche cause manifestamente deboli, come riscattare una donna screditata come Elena (Elogio di Elena 10); Lucrezio (I sec. a. C.) dichiara che Epicuro ha sconfitto mostri interiori ben più potenti di quelli mitologici uccisi da Ercole, e lo ha fatto con le parole, non con le armi (dictis, non armis): parole di verità (veridica dicta) che hanno posto fine alla brama e al timore (finem statuiti cuppedinis atque timoris); Cicerone (I sec. a. C.) tra i molteplici benefici del buon uso della parola annovera la fine di innumerevoli guerre (plurima bella restincta). La stessa conclusione di Canetti: «Alla situazione che ha poi reso la guerra davvero inevitabile si è arrivati per mezzo di parole, parole su parole usate a sproposito. Se così grande è il potere delle parole, perché esse non dovrebbero essere in grado di impedire la guerra?».
venerdì 4 dicembre ore 11
Straniero o barbaro? Dalla cultura greca alla cultura moderna
con Maurizio Bettini, filologo classico
Sono i Greci a inventare il concetto di «barbaro», con cui si riferivano allo straniero. «Barbaro» significa «colui che balbetta»: il termine si è caricato fin dall’origine di una connotazione negativa con cui riferirsi a lui, prenderlo in giro, escluderlo come «chi non conosce la mia lingua». Questa accezione offensiva non esiste fra i Romani, non può esistere, perché Roma stessa nasce come un’accozzaglia di persone provenienti da luoghi diversi, e non perderà mai tale tradizione di accoglienza.
Oggi sembriamo preoccupati solo di stabilire chi è «noi» e chi è «loro»: da molti anni non si parla d’altro, soprattutto nel discorso politico e in quello dei media; le culture si oppongono, in Italia si sono riacutizzate le differenze fra Nord e Sud e con gli altri Paesi d’Europa.
Angosciati dalla nostra identità da affermare, da difendere perché minacciata dal disordine che i diversi da noi sembrano introdurre, lavoriamo per escludere migranti, rom, omosessuali, disabili e tutte le categorie di “fuori posto” perché fuori da quadri condivisibili.
Ma una reazione identitaria che sia, al contrario, positiva e inclusiva è possibile.
Studenti e studentesse del Liceo Classico Francesco Vivona di Roma hanno partecipato agli incontri dedicate alle scuole, queste le loro considerazioni.
#1 di David Tallo, 1^ L
In un tempo in cui la voce e gli sguardi sono filtrati dal video di un computer o di un cellulare e di eroi si parla per medici e infermieri nei reparti Covid, confrontarsi con l’umanità degli eroi omerici ci può fornire una strada per il futuro. In una diretta zoom alle 11:00 di un venerdì di scuola, nelle ore della mia didattica a distanza, Matteo Nucci prende spunto dal suo ultimo libro, Achille e Odisseo. La ferocia e l’inganno (Einaudi), per descriverci gli eroi di ieri e di oggi.
Alle 11:50 il tempo di Nucci scade e in noi invece inizia la ricerca della nostra autenticità in questo indimenticabile 2020.
Quando l’autore ci saluta ripete diverse volte che vorrà ritornare a scuola da noi quando tutto questo sarà finito. Ed è proprio dalla fine che io vorrei partire. Anche perché Nucci mostra la forza del messaggio che ci viene dagli eroi fragili del suo libro proprio nel modo di vivere il proprio tempo. I due poemi omerici, l’Iliade e l’Odissea, sono dedicati ai due protagonisti, Achille ed Odisseo, che incarnano e raccontano le due manifestazioni dell’essere umano. Sono i due grandi eroi che si contrappongono come esempi di umanità opposta. Nucci spiega che Odisseo è l’eroe dell’intelligenza, dell’astuzia sempre propenso a ponderare le alternative mentre Achille è impulsivo e istintuale, è schietto e sincero e va dritto contro l’ostacolo. La sfera dell’emozionalità sicuramente prevale in Achille mentre la sfera della razionalità prevale in Odisseo. Ma per Nucci è probabilmente nel modo di vivere il presente che i due eroi sono agli opposti. Achille vive nel presente e Odisseo invece vive immaginando il futuro. Nucci ci propone di non scegliere tra Achille e Odisseo ma di completarci con una visione del presente compenetrata di uno sguardo verso il passato per rendere consapevole il nostro presente ed avere il coraggio dello sguardo verso il futuro. La consapevolezza del presente si costruisce facendo i conti con il passato “su come abbiamo deciso di vivere le nostre vite, sulle cose ci hanno fatto male o sulle cose che noi abbiamo fatto male”.
Nucci ci mette di fronte ad una possibilità del nostro tempo cioè l’opportunità di riflettere per metterci in discussione. Perché secondo il romanziere infatti “in questo periodo in cui spesso siamo soli” possiamo “riprenderci il nostro tempo”.
Questa ricerca e questa attenzione potrà aiutarci ad essere noi eroi nel senso di “essere umano” quindi tutti possiamo essere Achille o Odisseo a seconda delle nostre attitudini.
“È il tempo di riscoprire il nostro eroismo non per essere famosi o immortali” ma per scoprire e svelare la nostra autenticità in uno sforzo continuo di incontro verso i propri errori non avendo paura della vergogna delle lacrime e del pianto.
#1 di Valeria Falcinelli, 1^ L
Venerdì 27 novembre, abbiamo fatto una conferenza intitolata Gli eroi di ieri e di oggi. La comunicazione è arrivata con poco preavviso, appena il giorno prima, ma c’è bastato per capire da subito che sarebbe stata una cosa molto piacevole e interessante che così si è dimostrata! La cosa che da subito mi ha colpito è stata sicuramente la presenza dei licei classici da ogni parte d’Italia: c’era l’Alfieri di Torino, il Galileo di Firenze, il Trimarchi di Messina, il Parini di Milano e persino il Saluzzo-plana di Alessandria. È stato anche un modo di conoscere persone non appartenenti alla propria regione, e alla propria città e di condividere le idee con scuole diverse, che in questo momento di pandemia dove è difficile anche solamente uscire di casa, mi è sembrata una fantastica iniziativa. Il discorso è stato a cura del professor Matteo Nucci che alla fine ha anche risposto alle nostre numerose domande.
Il professore ha iniziato spiegandoci che il valore attribuito oggi e quello che apparteneva un tempo alla parola “eroe” è totalmente diverso: infatti le se prima un eroe era chi realizzava nel modo migliore la propria umanità, oggi la figura dell’eroe è vista come qualcosa di quasi irraggiungibile, qualcuno con dei superpoteri, qualcuno che si distingue dalla massa.
Subito dopo siamo passati ad analizzare questo concetto nel caso di Achille e Odisseo i due grandi protagonisti dei poemi omerici. Il professore ci ha spiegato che ognuno di noi ha una “psiche” (dal greco ψυχή) che in generale è divisa in 2 macro-aree: quella razionale e quella emotiva. Questo significa che anche gli eroi piangevano, comportamento umano dato soprattutto della sfera emotiva. Ad esempio Achille pianse dopo il litigio con Agamennone, andando a cercare la madre Teti, Odisseo pianse cercando invece il padre. L’unico che sembrava quasi apatico, secondo il professore fu Paride, considerato come un codardo, poiché nel corso della narrazione non piange mai. Quindi siamo passati ad analizzare l’opposizione di questi due personaggi che potrebbero essere definiti come “lo yin e lo Yang”, infatti se Achille si abbandona di più alla sfera emotiva della sua psiche, Odisseo è più razionale si affida di più alla ragione. Potrebbero essere definiti come l’opposizione, l’incastro perfetto tra istinto e ragione; sono due esseri separati, che in qualche modo si completano.
Il tempo a disposizione purtroppo non era molto ma il professore ha cercato di stringere il più possibile spiegandoci che il tempo è la più grande ricchezza dell’uomo; anche qui le divergenze tra Achille e Odisseo sono molto evidenti: se Achille è un uomo che vive nel presente e vuole godersi la vita, Odisseo guarda più al futuro, cerca di “restare” in vita il più possibile; in quanto umani infatti il pensiero della morte spaventa sia i suddetti valorosi eroi, ma anche molte persone al giorno d’oggi.
Il tempo era davvero agli sgoccioli, perché volevano comunque dare anche a noi lo spazio per le domande che si sono da subito scatenate nella chat come un fiume in piena. Quindi eccoci alla conclusione, al succo del discorso. Il professor Nucci ci ha detto che nella vita dobbiamo sempre puntare a unire queste due figure (Achille e Odisseo), quindi a vivere nel presente gettando un occhio al futuro ma, cosa più importante: dobbiamo sempre ricordarci di guardare il passato. Questo gli ha dato un piccolo spunto per condividere con noi e un altro piccolo dettaglio: ovvero quello degli “indovini” che infatti erano coloro che avevano l’abilità di leggere il futuro. Questo avveniva perché queste persone erano quelle che avevano il coraggio di fare i conti con il passato ed era solamente per questo che riuscivano “a leggere il futuro”.
Insomma, in conclusione, l’eroe non è altro che un essere umano. Qualcuno che soffre, gioisce, si emoziona, si spaventa e perché no piange. Il pianto non è una cosa che rende deboli, ma qualcosa che ci fa crescere, qualcosa che ci rende forti. Gli eroi, sono quelli che riescono nelle piccole cose a vivere a pieno la propria esperienza terrena credendo o meno in un aldilà; l’eroe è qualcuno che ha fatto pace con il suo passato, che vive per il proprio presente e che al contempo pensa al futuro… In poche parole, il mondo è pieno di eroi!
#1 di Raffaella Russo, 3^ E
Il concetto di straniero in greco veniva espresso con i termine “βάρβαρος” , questo perché tutti quelli che provenivano da paesi stranieri non parlavano bene il greco e di conseguenza balbettavano. L’aggettivo “straniero” (cambiando termine greco in ξένος) veniva invece attribuito anche a chi proveniva da una regione diversa, ma all’interno della stessa Grecia, poiché esistevano dialetti diversi che non tutti conoscevano. Ma a differenza dei “non greci” comunque avevano diversi elementi in comune, come ad esempio riti e culti religiosi. L’uomo greco era infatti un “ἑλληνικός” ovvero un uomo che proviene dall’Ellade. Strabone definisce “βάρβαρος” come un termine dispregiativo, infatti le persone balbuzienti causavano le risate di chi ascoltava e di conseguenza assume un’accezione di derisione. Strabone però riflette sul fatto che come per gli stranieri era difficile imparare a parlare bene il greco, anche per i Greci era difficile imparare a parlare le lingue straniere. Un esempio viene riportato in uno dei “νόστοi”, ovvero quello di Agamennone, che al ritorno in patria portò con sé una delle figlie di Priamo, Cassandra. Questa, arrivata in Grecia, non sapeva la lingua e quindi nessuno la capiva e il corifeo la paragona perciò ad una “rondine” in seguito al mito di Procne e Filomela, secondo il quale alla prima venne tagliata la lingua per evitare che rivelasse le violenze che lei e la sorella subirono dal re Tereo. La cultura greca si basava molto sull’autocentrismo ovvero la convinzione di essere superiori agli altri. Euripide in modo provocatorio nella sua tragedia Ifigenia in Aulide fa dire infatti alla fanciulla che ritiene giusto che i barbari siano sottomessi ai Greci, essendo incapaci di autogestirsi. La Grecia inoltre è ricca di molti elementi che si distinguevano di regione in regione, ma che insistevano sempre sulla stessa idea di superiorità. Ad esempio ad Atene nasce il mito dell’autoctonia, ovvero l’idea di provenire direttamente dalla terra (“di questa terra”) esemplificato anche dal mito di Efesto e Atena, per cui il seme di Efesto, rifiutato da Atena, cadde sul suolo dell’Attica facendo nascere gli uomini direttamente dalla terra, tra cui il primo re Cecrope. Infatti si dice che i primi re fossero mezzi serpenti, poiché il serpente vive sotto terra. Inoltre sostenevano che prima degli Ateniesi l’Attica non fosse abitata da nessuno.
Nel mondo romano invece il concetto di straniero assume un significato ben diverso. Infatti come abbiamo visto per i Greci lo straniero era oggetto di derisione mentre per i Romani, soprattutto all’inizio, ha significato positivo o comunque senza accezioni negative. In latino esistono diversi modi per esprimere questo concetto. Lo straniero aveva in realtà un ruolo anche piuttosto importante, i Romani infatti potevano non partecipare alla leva militare in caso avessero dovuto passare del tempo con uno straniero. L’”hostis” diventa “nemico” solo dopo, infatti le città come Roma sono circondate da popolazioni in costante espansione che possono essere sia alleati che nemici, un esempio furono i Sabini con i quali dopo il rapimento delle donne e dopo una guerra, avvenne la fusione dei due popoli. Il termine però inizialmente possiede il significato di “parità”. Infatti l’”hostis” è il nemico degno di essere combattuto in quanto i Romani non facevano guerre con chi non ritenevano essere un minimo al loro livello. I Romani acquisiscono poi il termine “barbaro” e lo attribuiscono ai “non romani”. Loro stessi vengono chiamati barbari dai Greci che però non possono essere definiti tali dai Romani, causando così uno squilibrio. Secondo Plutarco quando Roma venne fondata, Romolo tracciò un fossato e poi intorno ad esso, con l’ aratro, scavò i confini della città. Insieme a lui c’erano uomini provenienti da luoghi diversi che gettarono nella fossa centrale la terra dei loro paesi. Questo racconto esprime un concetto opposto rispetto a quello dell’autoctonia greca, in quanto non è più la terra che crea l’uomo, ma l’uomo che unisce le terre per creare una città. Perciò inizialmente la civiltà romana era aperta, tanto che Livio ritenne che questa caratteristica fosse ciò che avrebbe determinato la forza di Roma. Infatti mentre ad Atene si può essere cittadini solo se entrambi i genitori sono cittadini ateniesi, a Roma succede il contrario, infatti col tempo la cittadinanza romana verrà concessa a tutte le popolazioni che facevano parte dell’Impero Romano. Quando a Roma un padrone lasciava libero uno dei suoi schiavi, questo diventava prima liberto e poi automaticamente cittadino romano. La civiltà romana è quindi “esocentrica”. L’imperatore Claudio, denigrato da Seneca e rappresentato come balbuziente, venne mal considerato poiché aveva ceduto ai Galli il ruolo di senatori nonostante il Senato non fosse d’accordo. Lui sostenne però che in passato Roma ebbe a che fare con re come Tarquinio, di origine non romana, ma etrusca e di conseguenza la presenza di senatori galli non avrebbe dovuto causare tanto scontento e aggiunse che Romolo fu così saggio che considerava gli abitanti di altri paesi la mattina come nemici e la sera come cittadini romani e che la caduta della Grecia dipese appunto dalla loro chiusura culturale.
La conferenza a mio parere è stata molto interessante e arricchente. Pur avendo avuto una sola ora a disposizione Maurizio Bettini ha trattato chiaramente tutti i concetti senza rendere la lezione noiosa o pesante. I temi trattati mi hanno fatto riflettere su quanto l’uomo non sia troppo cambiato nel tempo. Se si prendono ad esempio la civiltà romana e quella greca si notano atteggiamenti non nuovi alla società odierna, come il sentimento di sentire la propria patria superiore alle altre. Questo oggi verrebbe definito razzismo. Il mondo latino invece era decisamente più aperto, ma non del tutto perfetto. Anche i Romani infatti, raggiunto un certo potere militare, definivano certe popolazioni non degne di combattere contro di loro. Quindi per quanto i Romani fossero una civiltà più aperta di quella greca, comunque si consideravano superiori rispetto ad altre popolazioni. Tuttavia, queste civiltà vivevano in un ambiente più primitivo e quindi in assenza di scienze sviluppate e dunque le loro conoscenze erano limitate e tutti quegli studi che mettono in discussione il concetto di razza e ne smentiscono l’esistenza, ancora non esistevano.
Quindi mentre per questi popoli antichi si trattava di una cultura su cui si basava il funzionamento di tutto il mondo dell’epoca, oggi questa xenofobia è diventata quasi una scusa. Io credo che oggi non esistano scuse per il razzismo e per la xenofobia, essendo solo causa dell’uomo che vuole rimanere nella sua ignoranza nonostante abbia a disposizione una gran quantità di studi che provano il contrario. Non si parla più infatti di intere civiltà xenofobe, ma di singole persone che ne influenzano altre.
#1 di Giulia Matilli, 3^A
La conferenza tenuta da Luciano Canfora su Tucidide, lo storico che ha scritto la Guerra del Peolponneso, inizia con varie citazioni di vari personaggi, tra cui Gandhi, Diodoro Siculo e Tacito: questi tre danno prova di come le guerre siano il centro della storia. Il primo, infatti, afferma ironicamente che “la storia è il racconto di come grandi popoli guidati da grandi re abbiano cominciato a combattere e di come si siano uccisi a causa delle guerre”; lo storico Diodoro, nato ad Agirio in Sicilia, – contemporaneo di Cesare – prima di iniziare la narrazione dei fatti più importanti di un certo anno, dichiara che non ha molto di cui discorrere, dal momento che non ci sono guerre da poter raccontare. Infine Tacito, con i suoi Annales, ripropone quanto affermato dal greco di Sicilia.
Canfora così esprime come i combattimenti nell’antichità siano il centro di tutto, tanto che il termine greco “spondai (σπονδαί)” significa rispettivamente pace e tregua: la pace infatti è una condizione precaria, che coincide con una tregua dei combattimenti – anche se molto spesso il periodo di tempo stabilito dall’accordo non viene rispettato. Ad esempio Demostene, uomo politico di Atene, vissuto durante il IV secolo avanti Cristo, parlando davanti al popolo, pronuncia con la sua terza Filippica (341 a. C.) la posizione più adatta da prendere nei confronti del re di Macedonia Filippo, che aveva infranto la tregua poiché era entrato in Attica. Per giunta, sempre ad Atene, patria di Tucidide, ogni anno ricorreva l’Epitafio, ovvero una commemorazione di tutti i morti in guerra (a questa ricorrenza si collega il famosissimo discorso di Pericle, capo politico della medesima poleis).
L’opera di Tucidide è di grandissima importanza. In essa sono raccontati e descritti i più importanti avvenimenti dal 432 al 404 a. C., anno della definitiva sconfitta ateniese. Tuttavia, i due temi più importanti sono la guerra e l’edipemia di peste scoppiata nell’acropoli di Atene intorno al 430 a. C., causata dalle scarse condizioni igieniche dei cittadini rinchiusi nella roccaforte per respingere l’invasione spartana e che ha anche provocato la mortde di Pericle.
Tale tema di attualità viene descritto con grande enfasi e pathos (πάθος) da Tucidide: la malattia viene minuziosamente delineata, tracciando tutti i sintomi che essa comporta, anche grazie al fatto che lo stesso autore ne sia stato vittima. L’attenta analisi che lo storico rivolge alla sintomatologia del morbo ha lo scopo di prevenire possibili nuove comparse di tale malessere. Per di più la visione dell’autore della narrazione della guerra peloponnesiaca è legata alla medicina filosofica di Ippocrate, che, a sua volta, è collegata alla filosofia sofista. Secondo questa corrente l’uomo può raggirare le leggi, in quanto queste sono convenzionali, ma al contrario, la natura, che è simbolo di una fermezza relativa, permette all’uomo di cambiarla solo con il tempo e attraverso una “dieta”, intesa sia come alimentazione sia stile di vita – è stata proprio questa, infatti, ad aver permesso ai greci di vincere i “molli” Persiani.
Tuttavia Tucidice non è l’unico ad avere narrato delle varie patologie che nel tempo hanno afflitto l’umanità. Infatti sono altrettanto famosi il poeta romano Lucrezio (94-55 a. C.), che con il De rerum natura ha nuovamente descritto la sintomatologia della peste ateniese; Boccaccio, poeta italiano vissuto tra il 1313 e il 1375: egli scrive il Decameron, una raccolta di cento novelle raccontate alcuni dei ragazzi in fuga dalla Firenze stremata dal contagio; infine, anche Manzoni con i Promessi sposi narra della triste peste milanese e di tutto il nord Italia del 1600.
Il modello della peste descritta da Tucidide viene riutilizzato da numerosi autori, ma Luciano di Samosata, scrittore romano di satire e contemporaneo di Marco Aurelio e Lucio Vero, scrive un libro il cui tema fondamentale è quello di “insegnare a scrivere una vera opera storica”. Con questo manuale Luciano critica tutti quanti quegli autori che per esaltare il potere del regnante in carica vengono meno alla verità storica: un esempio di critica è quella rivolta a Crepereio Calpurniano, scrittore di cui abbiamo perso ogni traccia. Questo riporta la guerra combattuta da Lucio Vero contro i Parti e, come Tucidide, l’altro argomento fondamentale è l’epidemia di peste scoppiata durante il medesimo scontro. L’impatto che la peste del periodo degli Antonini ha avuto sulla popolazione e sull’economia romana viene descritto da Crepereio egualmente disastroso a quello della peste ateniese, mentre svariate fonti, come quella fornita da Elio Aristide, descrivono delle conseguenze ridotte. Così numerosi studiosi ritengono che quanto affermato dall’ignoto Crepereio sia solo una ripresa dello stile di Tucidide.
Infine, il secondo importante tema dell’opera del grande storico è quello della guerra. Nel mondo maschile, infatti, questa era una condizione quasi auspicabile. In forte opposizione troviamo il mondo femminile: possiamo citare l’episodio di Ettore e Andromaca nell’Iliade, oppure la commedia di Aristofane Lisistrata. Anche attraverso l’importanza che molte altre fonti le attribuiscono, gli storici sono riusciti a comprendere che tale influenza era dovuta ai benrfici derivanti dalla vittoria. Oltre all’egemonia su altri popoli e alle numerose ricchezze che si potevano ottenere, il compenso più grande era l’acquisto di manodopera gratuita: gli schiavi. Un altro modo di procurarsi servi era nei numerosi mercati umani. Il più grande e “rinomato” era quello presso Delfi – addirittura, secondo Strabone, ogni giorno veniva venduta una cifra pari a diecimila uomini. Questi però, essendo uomini liberi, ai quali era stata tolta la libertà, in ogni occasione possibile si ribellavano per tentare di riacquisire ciò di cui erano stati privati. In questo modo, il sistema dello schiavismo su cui si basavano sia la società greca sia quella romana (tra le due questa lo è molto di più) era estremamente precario, tanto che ne risentì molto dell’influenza augustea. Tuttavia riperse vigore subito dopo con l’impero di Traiano.