De rerum natura, il poema dell’infinita tempesta
Su Lucrezio e i disastri della natura
con Milo De Angelis, poeta
evento online su festivaldelclassico.it, Youtube e Facebook
Il poeta e studioso del mondo antico presenta il più misterioso degli scrittori latini, Lucrezio, che ha descritto con voce potente i disastri della natura: terremoti, nubifragi, pestilenze, cataclismi di ogni genere entrano nella mente dell’uomo e lo immergono nella pazzia.
Studenti e studentesse del Liceo Classico Umberto I di Palermo hanno ascoltato la lezione di Ivano Dionigi, queste le loro considerazioni.
#1 di Gaia Colli, IV A
Nella compagine del Festival del classico 2020 magistrale , di grande interesse e attualità è la lectio del Professore Milo de Angelis il quale, con parole di grande pregio , ha regalato all’intero pubblico un’egregia traduzione dei versi lucreziani tratti dal “De Rerum Natura” abbracciando con immenso pathos tutti gli aspetti più tormentati , intrigati e intriganti dell’anima di Lucrezio . Il Professore, nel presentare la sua traduzione del poema, suggestiona immediatamente l’uditore nell’invitarlo a “soggiornare nella dimora del poeta”. È questo , infatti, il viaggio da lui intrapreso per approdare alla traduzione del testo latino.
Lo stesso De Angelis, prima della lettura dei versi, chiarisce cosa per lui significhi e comporti il “tradurre”: portare fuori, immaginare , supporre. Il risultato di tale traduzione definita “poetica” e non letterale, perché eseguita “nello stile del nostro tempo”, è la presentazione del poeta-filosofo Lucrezio come un uomo a noi vicino, quasi contemporaneo nella sua visione della natura e dell’uomo nelle sue angosce e nelle sue brame.
Il “De Rerum Natura” è un poema sicuramente gnoseologico, ma soprattutto cosmico in quanto Lucrezio, nei suoi momenti di apparente lucidità, dipinge tutte le sfaccettature del mondo in cui lui stesso si sente quasi imprigionato. L’universo ci appare un luogo in cui le “generazioni usurpano le generazioni” in un vortice incessante, il mondo una “giostra eterna” che consuma gli atomi dei corpi, la natura una forza creatrice e distruttrice allo stesso tempo, drammatica, matrigna e soffocante in cui l’uomo si perde abbandonato da qualsiasi divinità. Lo sconvolgimento che ne deriva è stravolgente: in un mondo così delineato l’uomo, “che ha alle spalle il nulla e verso il nulla si dirige”, è sopraffatto, penetrato e rapito da una profonda angoscia.
Diventa consequenzialmente marginale e caduca la visione della vita percepita come “un’interruzione breve” rispetto alla perpetuità frustrante della morte che genera negli uomini la volontà di fuggire questo male opprimente arrivando a disprezzare e odiare la vita in ogni sua manifestazione. È il cammino nel panico della mente che porta a temere l’altro, ad invidiarlo e anche ad ucciderlo. Non a caso il De Angelis pone l’attenzione sul VI libro del “De Rerum Natura” in cui viene affrontata la tematica della peste di Atene nonché evento caratterizzato dalla crudeltà dell’uomo che, colpito dalla malattia, raggiunge il massimo
livello dello sgretolamento della propria condizione umana e abbassamento morale. Così in balia di un’irrazionale paura abbandona i cari , i familiari e non celebra i riti funebri che, invece, nella civiltà greca erano considerati dei doveri quasi inalienabili. La disgregazione dell’integrità morale degli uomini come conseguenza di un’epidemia è espressione della società tutti i tempi a partire dall’età classica con Tucidide , abbracciando il Medioevo con Boccacio , il XVII secolo con Manzoni , fino ad arrivare alla peste immaginaria descritta da Albert Camus nella celebre opere “La plague”. Purtroppo questo fenomeno si riflette anche nella società del XXI secolo nella quale gli uomini si trovano vessati da un tribolo da una parte veloce nella sua propagazione, dall’altra lento perché apparentemente invisibile, invincibile, interminabile e indelebile. Come descrive Lucrezio anche noi ci “affanniamo in preda al disordine” disorientati tra una rigida obbedienza alle leggi a noi imposte e tra l’irresistibile voglia di vita che ci impone di trasgredirle. L’afflizione causata da una mancata degna sepoltura dei cari, dalla mancanza di un ultimo saluto ha zittito i cori dai balconi, ma non ha impedito una reazione entusiastica e sconsiderata mossa dalla spasmodica volontà di vita. Si viene a delineare così una tragedia degli eccessi in cui nulla è pesato, nulla è ragionato, ma tutto è un irrazionale circolo vizioso di ingannevole guarigione e inevitabili contagi.
È ancora Milo de Angelis che , attraverso le parole di Lucrezio, ci parla ricordandoci la perenne “staffetta tra esseri umani”; un alternarsi perenne di vita e di morte.